venerdì 17 maggio 2013







Conferenza dei servizi AIA per bruciare pneumatici




In data 15.05.2013, presso gli uffici regionali della direzione Protezione Civile Ambiente di Pescara, si è tenuta la terza convocazione della Conferenza dei Servizi riguardante la riconferma dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, per bruciare pneumatici all’interno dello stabilimento Italcementi di Scafa.
Durante tale conferenza, l’Arta si è dimostrata piuttosto sfavorevole alle modalità di monitoraggio degli inquinanti dell’Italcementi, ha quindi prescritto alla ditta di abbassare i limiti di emissione di alcuni inquinanti, come gli ossidi di azoto, richiedendo inoltre l’abbassamento del valore limite delle polveri.
La Conferenza dei Servizi si è conclusa con esito parzialmente favorevole, con l’importante prescrizione di autorizzare l’azienda ad un anno sperimentale nel corso del quale essa sia in esercizio, non computando i periodi di fermo impianto, al seguito del quale sarà presentato un rapporto finale da valutare da parte dell’ARTA. Tale riscontro influirà certamente sul futuro stesso dello stabilimento di Scafa.
Il Comitato “Aria Nostra” auspicava da questo incontro almeno l’accettazione della richiesta di Valutazione d’Impatto Ambientale, in quanto negli anni non sono mai state fatte approfondite analisi, aggravate dalla mancanza di dati attendibili, sottolineando che non sono stati, in nessun caso, effettuati controlli nei terreni limitrofi, al fine di analizzare i livelli di diossina presenti.
Il comitato ha chiesto motivazioni dei malfunzionamenti verificatisi, in più episodi, negli ultimi mesi dell’operato dell’Italcementi ed ha trovato difese da parte dei rappresentanti dell’azienda i quali, più volte durante la conferenza, hanno precisato che lo stabilimento è datato di oltre 20 anni.
Noi non vogliamo sottovalutare il tema del lavoro, ma è altrettanto doveroso porre la giusta attenzione anche sulla condizione salutare della cittadinanza e dei lavoratori stessi.

domenica 27 gennaio 2013

una foto dello stabilimento del  26.01.13


Anche i dipendenti dello stabilimento di Scafa subiranno la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione, decisa dall'azienda Italcementi, a partire dal 02.02.2013.
E' quanto emerge dal piano di riorganizzazione presentato dai vert
ici del gruppo ai sindacati, relativo ai 14 stabilimenti italiani del gruppo. ll piano prevede per il prossimo biennio un taglio dei costi per 40 milioni di euro all'anno e una serie di investimenti per 100 milioni di euro.
Al termine del periodo di Cigs, se non ci saranno miglioramenti del quadro congiunturale, circa la metà delle sospensioni temporanee saranno trasformate in strutturali, anche con il ricorso alla mobilità.
Dopo più di 50 anni di fatturati, cospicui incentivi ricevuti, produzione al massimo senza interventi di tutela ambientale, l'azienda si prepara a mandare a quel paese i suoi operai.
Una multinazionale che ha enormemente guadagnato negli anni di produzione del cemento mediante incenerimento di rifiuti si appresta a mettere in pratica la solita strategia di risollevamento: sganciare la classe operaia mentre lo schianto si fa più vicino; quella classe operaia che conosciamo bene, che difende gli interessi del proprio " padrone" pur di tutelare un posto di lavoro a costo di sottostare ai ricatti delle aziende.

Abbiamo assistito a lunghe e corpose polemiche nell'ultimo decennio, riguardo la complessa questione SALUTE vs LAVORO e NESSUNA amministrazione di Scafa ha saputo/ha voluto interessarsi pienamente della questione. TUTTE le amministrazioni succedutesi fino ad oggi hanno approfittato dei finanziamenti dell'Italcementi senza remore. Tutte, purtroppo, si sono letteralmente DEFILATE di fronte alla responsabilità di comprendere l'avvento inevitabile di un punto di crisi fatale, e si è peccato SEMPRE di grave negligenza nella pianificazione di strategie d'intervento.
Nella storia di questo paese non si può dimenticare questo fondamentale tema in cui tutti hanno FALLITO lì dove altre Città hanno trionfato.

La crisi di un territorio è dettata soprattutto dall'incapacità del sapersi REINVENTARE e dall'ASSENZA DI CORAGGIO dei governi locali nel cambiare la propria condizione e le aspettative di vita di tutti.



N.B.: Prima di salutarci l'azienda non può sottrarsi dal rilasciare in aria un pò di fumi e far notare ancora una volta i malfunzionamenti dell'industria, la quale mostra senza dubbio l'obsolescenza profonda che ormai la contraddistingue da molto tempo.

domenica 12 agosto 2012

BUSSI, MISTERI D'ITALIA.


QUALE FUTURO PER LA VAL PESCARA?
Tra impianti industriali dismessi, discariche, siti di bonifica,
 turbogas e centrali a biomassa, cementifici e molto altro,
tutta la val Pescara è sotto assedio: non passa giorno che spuntano nuovo impianti senza alcuna pianificazione degli enti preposti. Da un lato veleni e ricatto occupazionale, dall’altro la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini  in cui lavoro e occupazione  vengano  dalla salvaguardia dei beni comuni
e di un territorio non del tutto compromesso.
E tu da che parte stai?

A che punto è la bonifica del Sito di Interesse Nazionale di Bussi sul Tirino?
Quali progetti sono in cantiere?

Il Sito di Interesse Nazionale di Bussi sul Tirino è stato istituito con decreto del Ministero dell’ambiente il 29 maggio 2008
Cosa è stato fatto in 4 anni? 

  Il S.I.N.  “Bussi sul Tirino” comprende ben 11 comuni:  
Bussi sul TirinoPopoli, Tocco da Casauria, Castiglione a Casauria, Bolognano, Torre de Passeri, Alanno, Scafa, Manoppello, Rosciano e Chieti ed in particolare le seguenti aree: l’ area del polo chimico di Bussi sul Tirino; l’area    occupata    dalla    discarica prospiciente la stazione ferroviaria di Bussi sul Tirino, l’area di pertinenza della predetta stazione ferroviaria, la zona  di  fondovalle   adiacente  le sponde del fiume Pescara dalla sua confluenza con il fiume Tirino fino a poco oltre il campo pozzi "Colle S. Angelo, il Sito industriale dismesso ex Montecatini in località Piano D'Orta, l’area invaso diga di Alanno, l’area Centrale presa Enel- IV Salto, l’area Centrale rilascio Enel- IV Salto. 

Per ora è stata fatta messa in sicurezza d’emergenza, ovvero ricoperta con un telo impermeabile e con del terreno, una sola area quella compresa tra la Stazione di Bussi sul Tirino e il Fiume Pescara. Quanti anni dovremmo ancora aspettare per la messa in sicurezza d’emergenza  delle altre aree? E Quando verrà rimosso il materiale inquinante?  Inoltre l’articolo 2 della legge n.10/2011 ha stanziato  50 milioni di euro per fare cosa?Avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino», come individuato e perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 29 maggio 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 24 luglio 2008. Le opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dovranno essere prioritariamente attuati sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione”.

A questo punto occorre fare chiarezza.  Prima di tutto occorre fare una distinzione tra il sito industriale attualmente occupato dalla Solvay e le aree esterne, le discariche scoperte dalla Forestale nel 2007,  che sono solo una parte del Sito di bonifica Nazionale
I 50 milioni di euro pubblici andrebbero spesi per la bonifica delle aree inquinate (e sono pure pochi) non di quelle che sono a carico della Solvay come ha recentemente confermato anche una sentenza del TAR Lazio
È inaccettabile tentativo che consenta alla Solvay di evitare la bonifica, chiudere definitivamente il sito mandare a casa i lavoratori ancora occupati a Bussi. 
Come se non bastasse sui 50 milioni di euro è arrivato il gruppo Toto  che ha manifestato l’interesse per insediare un cementificio con cava e un centro per la manutenzione di treni e materiale rotabile, nel sito industriale di Bussi, attualmente occupato in parte dalla Solvay. 
Un progetto nuovo? No, semplicemente la riproposizione di una vecchia proposta già rigettata dai cittadini e dai comitati di Sulmona e della Valle Peligna nel 2009 che ora Toto vuole propinare ai Bussesi.

Siamo sicuri che la scelta migliore per Bussi, la Val Pescara e la bonifica (che non c’è) sia una cava e un CEMENTIFICIO?I cementifici sono in crisi in tutta Europa, e in Abruzzo sopravvivono solo grazie alla possibilità di alimentarsi utilizzando combustibile da rifiuti, non vorremmo che alle porte vi sia un cementinceneritore.  Senza tener conto che ci sarebbe da ragionare sull’impatto ambientale dei progetti di Toto.  Purtroppo l’operazione Solvay-Toto trova molti sponsor nella politica locale e nazionale soprattutto nelle fila del PD e finora nessun esponete del centrodestra si è fatto sentire.  
Ancora una volta con i soldi di tutti si vogliono foraggiare interessi privati. Senza considerare che nel cuore della Val Pescara un CEMENTIFICIO c’è già e si trova a SCAFA, un altro è a PESCARA  con quello di TOTO a BUSSI, se realizzato, avremmo un bel tris in poche decine di chilometri. 

A chi gioverebbe? 


venerdì 10 agosto 2012



Prima che qualcuno lo dimentichi..



"MENTRE UN INCENERITORE DA' LAVORO A POCHISSIME 

DECINE DI PERSONE, UN CICLO INTEGRATO DEI RIFIUTI

TRA RACCOLTA DIFFERENZIATA, TRATTAMENTO 

MECCANICO BIOLOGICO E RICICLAGGIO

E' IN GRADO DI 
OFFRIRE LAVORO A CENTINAIA DI 

PERSONE, RIDISTRIBUENDO LA RICCHEZZA

FRA GLI STRATI PIU' 
BASSI DELLA SOCIETA'!"



Queste sono le reali alternative occupazionali, scelte 


coraggiose, virtuose e lungimiranti.


giovedì 5 aprile 2012

Permessi per bruciare plastica nel cementificio, Aria nostra Scafa chiede chiarezza.


Premesso che nei giorni del 6 e 7 maggio 2012 si svolgeranno a Scafa le elezioni amministrative, il comitato “Aria Nostra” coglie l’occasione per ricordare ai candidati delle liste che si presenteranno la questione legata all’ inquinamento del territorio di Scafa, tematica che parte della cittadinanza e noi come associazione stiamo affrontando da anni. 
L’interesse maggiore è rivolto allo stabilimento Italcementi s.p.a., situato all’interno del paese, che sin dal 2009 ha richiesto le autorizzazioni a poter bruciare CDR, combustibile da rifiuto, e che ad oggi non ha ancora ottenuto. 
La nostra preoccupazione è incrementata ulteriormente dopo la comunicazione sul Bollettino Ufficiale Regione Abruzzo del 21.03.12 in cui è stata rilasciata l’autorizzazione ad usare, all'interno dell’industria, combustibili come le plastiche, aggiunti all'uso già decennale di pneumatici esausti.
Sarebbe stato, a nostro avviso, necessario da parte dell'attuale amministrazione discuterne con la cittadina stessa, in quanto
consideriamo questa scelta di estrema importanza per la salubrità dell’intero territorio.

Ricordando che il nostro comitato ha già manifestato la propria contrarietà all’impiego di suddetti materiali, esponendola anche attraverso precedenti incontri informativi con la popolazione, chiediamo a tutti i candidati sindaci di esprimere una chiara e decisa posizione su tale problematica, auspicando che essi diano una maggiore priorità alla tutela della salute della cittadinanza tutta.

lunedì 26 marzo 2012

Pneumatici e RISORSE


Come sappiamo all'interno del cementificio di Scafa vengono inceneriti pneumatici che grazie al loro potere calorifico permettono un risparmio energetico per la produzione di cemento.
Una tonnellata di pneumatici, che all’interno di un forno hanno lo stesso potere calorifico di una tonnellata di carbone, in Italia se ne bruciano oltre 60mila tonnellate, tra Barletta, Matera, Pescara, Scafa , Pederobba, ecc.. Allora i cementieri propongono di bruciare i copertoni usati per non produrre emissioni inquinanti. Ma i copertoni sono fatti da prodotti petrolchimici come lo stirene e il butadiene, che sono stati classificati come cancerogeni per l’uomo. Bruciare i copertoni comporta il rilascio di stirene, butadiene ed alcuni composti del benzene. Alcuni vecchi copertoni potrebbero anche contenere cloroprene, con alta probabilità di formazione di diossine. Altri composti aromatici utilizzati per dare elasticità ai copertoni sono fortemente cancerogeni e difficili da distruggere in un processo di combustione se non con temperature estremamente elevate, con un elevato apporto di ossigeno e con un tempo di permanenza piuttosto lungo, condizioni difficilmente realizzabili in un cementificio. Infatti i cementifici presentano notevoli quantità di prodotti di combustione incompleta, come avviene in tutti gli inceneritori; ciò dimostra che la perfetta e totale combustione dichiarata dai progettisti non viene mai ottenuta. Inoltre è difficile ottenere un sufficiente apporto di ossigeno ed una distribuzione uniforme della temperatura in ogni parte del forno, a causa della grande quantità di materiali solidi presenti per la produzione del cemento. Inoltre tutti forni per il cemento cercano di rendere minimo l’apporto d’aria a causa delle grandi quantità di energia necessarie per riscaldarla alle elevate temperature richieste.
Lo stesso cemento può risultare contaminato da metalli pesanti ed attualmente non ci sono sufficienti studi sulle qualità meccaniche e fisico chimiche del cemento prodotto.
Un altro problema è dovuto all’elevata quantità di piombo contenuto nelle vecchie gomme fin tanto che sarà in uso la benzina rossa. Altri metalli pesanti possono contaminare i copertoni. inoltre i forni dei cementifici sono soggetti a sbalzi nella combustione che comportano dei picchi di emissione improvvisi e non rilevabili con le normali tecniche di monitoraggio e difficilmente controllabili con le dotazioni tecniche standard di un cementificio.
Non si dimentichi inoltre che, come dimostrato dalle considerazioni energetiche sopra esposte, per la produzione della gomma sintetica è necessario più del triplo dei combustibili fossili che si possono risparmiare con il suo incenerimento. 

La promozione del riciclo sottolinea perciò l'estremo guadagno che si ricava dal riutilizzo di materie la cui produzione ha richiesto un dispendio profondo di energie e materie prime. Come abbiamo visto l'incenerimento andrebbe ad azzerare anche il valore di tutte le risorse impiegate.

Caratteristiche della materia prima secondaria
La composizione della gomma riciclata è molto simile a quella del materiale vergine di provenienza e, sotto forma di granulato o polverino, può entrare a far parte delle mescole utilizzate dall'industria per numerose applicazioni. Esistono però dei limiti in peso per l'impiego della MPS nella realizzazione di nuovi manufatti, limiti dovuti all'impossibilità di rilavorare tal quale la gomma vulcanizzata e che variano a seconda delle tecnologie impiegate e delle prestazioni richieste al prodotto finale.
I granuli di gomma riciclata vengono prevalentemente miscelati a vari leganti per ottenere conglomerati resino-gommosi realizzati per stampaggio a freddo. In questi casi, la percentuale di MPS presente si aggira in media intorno al 60 % - 70 %.
 Diverso è il caso del polverino, che, miscelato all'elastomero vergine o ad altri materiali, può essere sottoposto a pressofusione o altri tipi di stampaggio, anche se in percentuali molto ridotte (20 % circa).
Purtroppo ad oggi il tasso di riciclo dei PFU per la produzione di MPS non tende ad aumentare (rappresenta ancora meno del 10% sul totale di pneumatici recuperati, mentre più della metà viene conferita in discarica), mentre a salire sono i costi di smaltimento. L'uso del granulo di gomma riciclato, anche là dove il reimpiego risulta più facile, come nel settore dei campi di erba sintetica, fatica a prendere piede, pur rappresentando una soluzione economicamente più vantaggiosa (i granuli riciclati sono fino a 7 volte più economici rispetto alla gomma vergine).
Principali applicazioni  
  -  Superfici drenanti per campi di erba sintetica, condotte idriche, asfalti
  -  Superfici antitrauma per aree gioco o pavimentazioni sportive
  -  Pavimentazioni antisdrucciolo

  -  Isolanti
  -  Accessori per arredo urbano e stradale (dossi di rallentamento, cordoli, paletti)

  -  Componenti per infrastrutture viarie, tranviarie e portuali (antivibranti per rotaie; paracolpi per banchine)
  -  Materassi per allevamenti

  - 
 Manufatti vari (componenti e accessori per auto; fasce e ruote piene per valige, pattini, carriole; rivestimenti; suole per calzature; articoli di 
     cancelleria)
 


 Nel 2012 stiamo ancora discutendo su quanto sia conveniente il riciclaggio delle materie rispetto alla loro distruzione, dimenticando perciò la gravità dello spreco di risorse non rinnovabili.

mercoledì 14 marzo 2012

Ponte nelle Alpi: Stazione Futuro. Da rifiuto a RISORSA



RIFIUTI: Il caso di Ponte nelle Alpi
Come possono i rifiuti trasformarsi da emergenza sociale in opportunità? In Italia sono state individuatei metodi e le tecnologie per farcela.
La soluzione si chiama riciclo totale, ovvero riprogettare il ciclo delle risorse in modo da riutilizzare quasi tutto, portando la quantità di rifiuti prossimo allo zero.
Nell’area dedicata ai rifiuti all’interno della mostra, una grande proiezione racconta l’esperienza del Comune di Ponte nelle Alpi.
Un video in motion graphic, appositamente creato e realizzato per l’occasione, descrive il caso del Comune di Ponte nelle Alpi e racconta come attraverso la progettazione integrata di una serie di iniziative, quali raccolta differenziata a domicilio, un Ecocentro per i cittadini, diversi incentivi, un programma di educazione ambientale e “acquisti verdi” e una buona gestione, Ponte nelle Alpi sia diventato il Comune  più virtuoso d’Italia nella gestione dei rifiuti.

martedì 6 marzo 2012

Continua il dibattito in Regione sulle modifiche della Valutazione Impatto Ambientale

I CITTADINI CHIEDONO DI CONOSCERE IN TEMPO I PROGETTI SU CAVE, RIFIUTI, CENTRALI CHE INCIDONO SUL LORO TERRITORIO
DECINE DI ASSOCIAZIONI E COMITATI: PERCHE' SI VUOLE TENERLI ALL'OSCURO CONTRO TRASPARENZA E MERITOCRAZIA?
Le nuove norme sulla Valutazione di Impatto Ambientale prevedono newsletter per i cittadini, progetti da consultare via WEB, istruttorie fatte da funzionari esperti che hanno pubblicazioni nelle materie, controlli a campione per tutelare salute e ambiente. Falso l'aggravio delle spese, non si vuole la meritocrazia in Regione e tra le aziende?
Chi ha paura di una newsletter digitale con cui informare costantemente cittadini, organi di stampa e gli stessi consiglieri regionali della presentazione dei progetti inviati per la Valutazione di Impatto Ambientale e con cui trasmettere l'ordine del giorno del Comitato V.I.A. regionale? Chi ha paura che i cittadini possano accedere, come accade in Lombardia, a tutti gli elaborati progettuali via WEB? Come è possibile criticare l'obbligo per il comitato VIA di non decidere solo sulla carta e dalla sedia e di fare i dovuti sopralluoghi - che ora non si fanno - nei posti dove si vogliono fare cave, impianti di rifiuti, industrie ecc.? Chi ha paura dei controlli sulle opere per il rispetto delle prescrizioni a favore di ambiente e salute che sarebbero già obbligatori da 20 anni? Chi non vuole far svolgere le istruttorie a personale specializzato che esiste già in regione?
Da Gennaio tutte le principali associazioni ambientaliste e i comitati spontanei che in Abruzzo hanno a che fare con il Comitato V.I.A. della Regione e ne criticano le procedure stanno assistendo attoniti ed increduli al ricorrersi di dichiarazioni di esponenti politici di maggioranza e confindustriali contrari alle nuove norme appena varate sulla Valutazione di Impatto Ambientale. La legge approvata dal Consiglio Regionale su proposta del Consigliere Maurizio Acerbo di Rifondazione contiene però solo norme di buon senso e di garanzia per i cittadini e per le stesse aziende che vogliono lavorare seriamente e che spesso scontano la diffidenza che si scatena su ogni progetto, anche quando positivo. Non è meglio far conoscere prima alla cittadini i progetti per evitare che si scatenino le proteste e le inchieste dopo, con perdite di tempo e dispendio di risorse? Evidentemente i cittadini sono diffidenti perchè in questi anni il comitato V.I.A. ha approvato in sordina i progetti come il Centro Oli (smontato poi da uno studio del Mario Negri sud), la Mare-Monti (poi sequestrata, il comitato V.I.A. non si era accorto che l'opera entrava in una riserva...della Regione), il Porto di Francavilla (il Comitato non si era accorto che il porto era in un sito di bonifiche nazionali ed è dovuto intervenire il Ministero dell'Ambiente), la centrale Powercrop ad Avezzano (il comitato ha valutato l'impatto sulla qualità dell'aria della centrale prendendo i dati relativi non alla conca del Fucino ma ad Ovindoli a 1400 metri di quota!). Evidentemente c'è chi ha paura della trasparenza e della maggiore informazione dei cittadini e cerca di tenerli invece all'oscuro. Vuol dire che c'è qualcosa da nascondere e avevamo ragione a contestare il funzionamento del comitato V.I.A.! In realtà la Regione Abruzzo è stata finora nel Medioevo per quanto riguarda le procedure di V.I.A. Le altre regioni (Lombardia, Veneto, Puglia, Toscana ecc.) hanno leggi regionali, mentre noi abbiamo una scarna delibera di giunta che viene modificata
a piacimento senza alcun confronto con i consiglieri regionali e la cittadinanza. 
Nelle altre regioni una cosa del genere sarebbe improponibile e la dice lunga il fatto che puntualmente i consiglieri regionali cadono dalle nuvole quando i cittadini li avvisano di centrali, impianti ecc approvati dalla Regione che dovrebbero governare. Quasi tutte le norme approvate sono simili a quelle vigenti da oltre 10 anni in altre regioni (anzi, sono meno rigide, basti pensare che in Puglia l'allora Governatore Fitto ha reso obbligatoria la consultazione preventiva delle associazioni ambientaliste su ogni progetto).
Il rappresentante di Coinfindustria Primavera si è sentito in dovere, senza evidentemente aver letto la legge, di intervenire nel dibattito. Come nell'imitazione di Crozza, dove Marchionne vede la FIOM dappertutto, così il Primavera filo-petrolio appare talmente terrorizzato dagli ambientalisti da vederli dappertutto. Ha così sostenuto una cosa totalmente infondata e, cioè, che gli ambientalisti con la nuova legge avrebbero partecipato al comitato V.I.A. prendendo le decisioni sulle opere, quando la nuova legge disciplina esclusivamente le audizioni (di tutti, quindi anche di Primavera) alle riunioni del Comitato!
Una delle tesi più assurde, soprattutto per consiglieri che governano la Regione, è che la Regione Abruzzo, su quasi 2000 dipendenti, non avrebbe personale con all'attivo pubblicazioni scientifiche nazionali o internazionali sulle diverse materie (rifiuti; fiumi; geologia ecc.) per condurre le istruttorie come vuole la legge ora in vigore. Secondo loro ciò comporterebbe nuovi oneri per la regione per addirittura 2 milioni di euro per le convenzioni da stipulare con enti scientifici. Ricordiamo che l'analisi dei progetti viene svolta su elaborati presentati dalle aziende e redatti spesso da professori universitari che i funzionari si trovano a dover valutare a garanzia dei cittadini. Questi consiglieri ignorano incredibilmente che la Regione ha, fortunatamente, decine di funzionari che pubblicano su riviste internazionali prestigiose e che vengono addirittura invitati ai convegni dell'Accademia dei Lincei. Purtroppo chi garantisce prestigio alla regione rimane nell'ombra e non è conosciuto dai consiglieri: questa allora è l'occasione per far trionfare la meritocrazia tanto cara al Presidente Chiodi. E' veramente sconfortante che rappresentanti istituzionali prestino ascolto evidentemente a voci incontrollate senza verificarne l'autenticità. Peraltro la Regione Lombardia fa pagare profumatamente le istruttorie ai proponenti (e Primavera dovrebbe iniziare a preoccuparsi perchè potremmo proporlo anche in Abruzzo...) e che le altre regioni hanno inserito direttamente nel comitato V.I.A. figure di altissima specializzazione.
Nell'era dell'informazione e del WEB, dell'accessibilità e della voglia di partecipazione non si può dimostrare un'allergia per le regole che rendono "trasparente il palazzo" che è di proprietà dei cittadini e non di singoli alti funzionari che vogliono mantenere uno "status quo" auto-referenziale degno del Far West. La politica non può essere ostaggio di chi vuole difendere rendite di posizione acquisite in questi anni dimostrando che le idee e la progettualità che sostengono sono così utili per tutti da non temere il confronto con i cittadini alla luce del Sole.

COSA CAMBIA CON LA NUOVA LEGGE SULLA V.I.A. COMMA PER COMMA
-Trasparenza e informazione: chi ha paura di informare i cittadini?
I commi da 1 a 4 della norma approvata introducono le forme di pubblicità e informazione dei cittadini. La nuova legge prevede di inviare gli ordini del giorno del Comitato V.I.A. a tutti i consiglieri regionali e una newsletter digitale con cui informare chi si iscrive (cittadini, organi di stampa, comuni ecc.) della presentazione di progetti e dello stato delle procedure (oggi i cittadini devono consultare quotidianamente il B.U.R.A. per scoprire cosa "bolle in pentola" oppure consultare il sito WEB regionale dove i progetti vengono caricati alla rinfusa e bisogna scorrere decine di progetti anche di anni addietro per ritrovare quello di interesse, perdendo ore!). Finora gli ordini del giorno del Comitato V.I.A. sono di fatto segreti tranne per i componenti e le associazioni riescono a volte a procurarseli in maniera poco dignitosa per qualsiasi cittadino, di fatto chiedendo agli amici degli amici. Il Comma 4 introduce il dovere di informazione anche per le procedure di Valutazione di Incidenza Ambientale che attengono agli importantissimi Siti di Interesse Comunitario che coprono oltre il 30% del territorio in Abruzzo. Attualmente i cittadini e le associazioni non hanno alcun diritto di informazione sui procedimenti di Valutazione di Incidenza Ambientale e non hanno alcuna possibilità di venirne a conoscenza se non per puro caso (il parere non viene neanche pubblicato sul B.U.R.A. regionale!). Il comma attua una precisa disposizione del Decreto 357/97 che prevede la possibilità delle regioni di normare le procedure di pubblicità per l'informazione dei cittadini su queste valutazioni. Il comma 12 regola l'eventuale accesso dei cittadini per le audizioni alle sedute del comitato fino ad oggi a totale discrezione del Presidente del Comitato .
-La Valutazione di Incidenza Ambientale: basta alle procedure fantasma
La rete Natura2000 è composta da decine di Siti di Interesse Comunitario che sono il cuore della biodiversità abruzzese, protetti a livello internazionale. I commi 5 e 6 della lagge approvata si occupano di sanare una clamorosa falla nelle competenze della Regione, assicurando che i comuni segnalino per tempo alla regione stessa l'avvio delle procedure sui progetti che riguardano questi siti. Si prevede che la Regione ogni anno organizzi un semplice database delle procedure di valutazione effettuate con l'esito e l'eventuale adozione di misure di mitigazione e compensazione. Infatti la Regione avrebbe l'obbligo di fronte all'Unione Europea (e ai cittadini) di monitorare lo stato di conservazione di specie ed habitat dentro questi siti. La Regione ha però delegato ai Comuni lo svolgimento delle Valutazioni di Incidenza Ambientale per alcune tipologie di progetti, comuni che in questi anni non dovevano neanche informare la regione dell'avvio di una procedura (ad esempio, i tagli boschivi). 
La Regione Verde d'Europa ha quindi perso completamente il polso della situazione rispetto a quanto accade nei siti naturalisticamente di maggiore pregio. In molti casi piccoli comuni privi di qualsiasi competenza si ritrovano a dover valutare questioni che incidono sul futuro di lupi, orsi, aquile reali e camosci. Con questa norma si avrà almeno il quadro conoscitivo, con il numero di procedure effettuate, quali habitat e quali specie sono stati interessati ecc. (come ad esempio chiede da 10 anni la Regione Veneto alle Province a cui ha delegato alcune procedure di V.I.A.).
-I controlli sul rispetto delle autorizzazioni: si ha forse paura della vigilanza?
Chi lavora bene non ha nulla da temere da eventuali controlli ed, anzi, ha piacere di riceverli. Infatti le aziende perbene sono favorite rispetto ai furbi perchè rispettare le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni comporta costi ed oneri. D'altro lato sono provvedimenti che fanno bene all'ambiente ed ai cittadini (basti pensare alle limitazioni alle emissioni piuttosto che alle modalità di costruzione di una discarica). I commi da 7 a 10, quindi, non fanno altro che normare un'altra clamorosa inottemperanza della Regione il cui Comitato V.I.A., al contrario di quanto accade nelle altre regioni, non garantisce la vigilanza circa il rispetto delle prescrizioni. Il Testo Unico sull'Ambiente prescrive tassativamente che sia l'organo competente al VIA ad assicurare il monitoraggio delle opere. I commi approvati prevedono che la regione può avvalersi dell'ARTA per i controlli che devono essere svolti su almeno il 20% delle opere a campione, scelte casualmente.
-Il sopralluogo, questo sconosciuto: come decidere da una sedia il futuro dei territori e dei cittadini.
Uno immagina che per l'insediamento di una cava oppure di un impianto di rifiuti o un centro Oli chi deve valutare svolga attenti sopralluoghi per rendersi conto di dove si vuole piazzare l'impianto. In Abruzzo il Comitato V.I.A. non ha mai svolto sopralluoghi. Sembrerà incredibile ma è così. Si è deciso il futuro di interi territori valutando, quando è andata bene, una foto scattata dai proponenti e inserita negli elaborati. In altre regioni, se si ritiene indispensabile un sopralluogo per decidere, gli oneri delle spese sono a carico del proponente! Con il comma 11 si prevede che, su richiesta di almeno 100 cittadini o di almeno due associazioni ambientaliste riconosciute, il comitato V.I.A. (o una sotto-commissione) sia obbligato a svolgere un sopralluogo sul posto interessato dal progetto.
-I membri del Comitato conoscono tutti gli elaborati progettuali?
Sembrerà pazzesco ma ai membri del Comitato V.I.A. non venivano trasmesse tutte le carte di ogni progetto e spesso si trovavano a dover decidere in pochi minuti sul futuro di un territorio basandosi esclusivamente sull'istruttoria del funzionario regionale. Il Comma 13 prevede una cosa che parrebbe lapalissiana e, cioè, che i membri del Comitato V.I.A. debbano ricevere per tempo tutte le carte, comprese le osservazioni delle associazioni e dei cittadini in forma integrale.
-Le competenze degli istruttori: la Regione non sa di avere esperti in ogni campo e non li valorizza!
Il comma 14 della legge approvata è quello che sembra attirare maggiori critiche perchè qualcuno deve aver sparso una voce totalmente infondata e, cioè, che la Regione Abruzzo (ora con l'ARSSA), compresi gli enti strumentali ancora attivi come l'ARTA, non avrebbe il personale istruttorio con le competenze previste dalla nuova legge (esperienza nei settori come pubblicazioni scientifiche nazionali o internazionali). Pertanto, secondo questi critici, dovrebbe ricorrere a convenzioni onerose (addirittura 2 milioni di euro!) con altri enti pubblici (università, ENEA ecc.). E' veramente incredibile che i consiglieri regionali non sappiano che in Regione Abruzzo lavorano decine di funzionari non dirigenti che hanno all'attivo pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali proprio nei campi in cui opera il Comitato V.I.A. Evidentemente gli stessi consiglieri regionali che ora si oppongono alle nuove norme sulla V.I.A. hanno proprio in cattiva considerazione l'ente che devono governare e non riescono a capacitarsi che esistono anche funzionari preparati a questi livelli. A questi consiglieri sembrerà forse strano ma vi sono dipendenti regionali con all'attivo inviti a relazionare in convegni dell'Accademia dei Lincei oppure che pubblicano su riviste di enorme prestigio come Journal of Freshwater Biology. Pertanto non solo la legge non costerà nulla ma servirà anche a premiare quei funzionari che contribuiscono al prestigio della Regione non solo in Italia ma nel mondo. Questa è la vera meritocrazia.


da  Emergenza Ambiente Abruzzo


lunedì 5 marzo 2012


Qualcuno ha affermato che L'italcementi non stia bruciando combustibile da rifiuto (sottolineiamo che non avrebbe neppure l'autorizzazione a farlo!), aggiungendo che invece -anche se a bassa visibilità- brucia qualcosa di più nocivo. 
Ebbene.. nelle sue labili lavorazioni incenerisce niente di meno che ciò che utilizza da quasi 20 anni a questa parte: pet-coke e pneumatici. E' ovvio che essi siano nocivi e ricordiamo, in questo post, che queste sostanze sono da sempre utilizzate all'interno dello stabilimento -nulla di nuovo!-.

In Italia si bruciano, ogni anno, tre milioni di tonnellate di carbone e coke di petrolio, o pet-coke. 
Questo combustibile è la crosta che rimane nelle vasche di decantazione del petrolio alla fine del processo di raffinazione, che viene grattata, macinata e messa sul mercato.Contiene idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e metalli pesanti (cromo, vanadio, nichel) oltre che zolfo e per questo fino al 1995 era considerato un rifiuto pericoloso.  Poi è stato sdoganato, e oggi viene preferito al carbone perché ha un potere calorifico più alto. Intanto, complice il mercato del petrolio, il prezzo del pet- coke è più che raddoppiato nell’ultimo anno e mezzo, e supera i cento euro per tonnellata. Il prezzo del combustibile incide per almeno un terzo sui costi di produzione. 

I 59 cementifici italiani (più altri 32 impianti di macinazione del clinker) hanno scelto di contenere le spese diventando inceneritori di rifiuti.Pneumatici, oli esausti, fanghi di depurazione e cdr (combustibile derivato dai rifiuti) diventano quindi combustibili alternativi nei forni del cemento.
 Come gli inceneritori, anche i cementifici vengono pagati per bruciarli. Una tonnellata di pneumatici, che all’interno di un forno hanno lo stesso potere calorifico di una tonnellata di carbone, frutta dai 5 ai 25 euro.In Italia se ne bruciano oltre 60mila tonnellate e oltre tra Barletta, Matera, Pescara, Scafa (sempre in provincia di Pescara) e Pederobba (Treviso), ecc..
Ma il confine tra combustibile e rifiuto è assai labile: il pet-coke può essere bruciato solo se contiene meno del 6% di zolfo e se almeno il 60% delle emissioni viene “fissato” nel prodotto finale. Cioè nel cemento. 

Un piccolo avvenimento da ricordare:  a Taranto, alla fine del 2007, in una discarica sono state sequestrate oltre 6mila tonnellate di pet coke, con un tenore di zolfo troppo elevato: era un rifiuto pericoloso ma era lo stesso destinato al forno dei cementifici.   

Similmente ai movimenti che appaiono non esserci, nonostante siano ugualmente vigili e molto preoccupati 
anche le emissioni persistono in questo territorio lontano dagli occhi e dalla coscienza di molti, purtroppo.

domenica 12 febbraio 2012

RIFIUTI. PERCHE' I CITTADINI SI OPPONGONO AGLI INCENERITORI?



Un italiano in media produce 523 chilogrammi di rifiuti. Nel 1991 ne produceva 350, un aumento del 50% in soli 10 anni. Nello stesso periodo è raddoppiata anche la produzione di rifiuti speciali.
Per alcuni l’aumento dei rifiuti è un indice positivo, perché rappresenta l’espansione dei consumi e quindi lo sviluppo economico. Per altri coincide con l’erosione delle risorse naturali e una fonte di inquinamento; per loro la crescita esponenziale dei rifiuti è un fenomeno di gravità assoluta, dal forte impatto ambientale e che mette a rischio la salute, la sicurezza e il benessere della comunità.
In Italia, negli ultimi anni, un numero crescente di cittadini si è organizzato per una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti. Da Trento ad Acerra, da Augusta a Forlì sono nati gruppi, comitati e movimenti che si oppongono alle scelte degli amministratori, che sempre più spesso decidono di smaltire i rifiuti con il metodo dell’incenerimento.
Il caso fiorentino
Per capirne di più abbiamo scelto di seguire quello che sta avvenendo nella Piana Fiorentina, dove è in corso un acceso dibattito tra cittadinanza e istituzioni locali. Si tratta di un’area geografica vissuta da circa un milione e mezzo di persone, che comprende parte delle province di Firenze e Pistoia e l’intera provincia di Prato. Sono territori non particolarmente virtuosi nella produzione annua di rifiuti. Si va dai 631 chili pro capite di Firenze ai 760 chili di Prato: ben 237 in più della media nazionale.
In Toscana attualmente sono attive 31 discariche che raccolgono oltre un milione di tonnellate di rifiuti all’anno. Alla periferia Ovest di Firenze si trova la grande discarica di Case Passerini. I miasmi che emana sono la condanna per chi abita e lavora nella zona. Nel territorio regionale sono attivi anche nove inceneritori, e i vari piani provinciali dei rifiuti ne prevedono un’altra decina. Tra quelli attivi, due interessano la Piana Fiorentina: quello di Montale, nel pistoiese, e quello di Selvapiana, vicino alla Rufina.
San Donnino. Corsi e ricorsi storici
L’inceneritore per antonomasia è però per tutti quello di San Donnino, che mostra ancora la sua ciminiera alta 60 metri al confine tra Campi Bisenzio e Firenze. Ha bruciato fino al 1986, quando le istituzioni furono obbligate a chiudere l’impianto per motivi igienico-sanitari. Contro l’emissione di diossina si sollevarono infatti i comitati sorti in primo luogo a San Donnino, ma poi anche alle Piagge, a Brozzi, a Sesto Fiorentino, a Calenzano e a San Giorgio a Colonica.
Uno dei portavoce dei Comitati della Piana, l’avvocato Claudio Tamburini, racconta così quegli anni: “Dal 1967, anno della delibera di costruzione, al 1973, anno dell’inaugurazione dell’impianto di San Donnino, il dibattito fu incentrato sulle dichiarazioni tranquillizzanti degli amministratori pubblici. Si parlava dell’inceneritore come di una panacea per l’eliminazione dei rifiuti e si dava poco o scarso rilievo alle ricadute negative per la salute dei cittadini che l’impianto avrebbe provocato. Si diceva che, grazie alle nuove tecnologie impiegate, dalle ciminiere sarebbero usciti solo innocui vapori d’acqua, depurati dalle polveri e dalle sostanze inquinanti.”
Quando i Comitati espressero i primi dubbi sulla salubrità delle ceneri, i Comuni di Firenze e di Campi Bisenzio non trovarono niente di meglio che emettere un comunicato congiunto dove si negava con sicurezza che ai fumi dell’inceneritore ‘si potessero attribuire aumenti di tossicità nell’atmosfera tali da provocare fenomeni mutogeni e cancerogeni’. Era il 10 dicembre 1977.
Oggi, a 20 anni dalla chiusura di San Donnino, la storia si ripete. Gli amministratori delle tre Province e dei Comuni della Piana hanno deciso di costruire un nuovo inceneritore, anzi “un termovalorizzatore di ultima generazione, ovvero non inquinante”.
Quei morti di troppo e i cento medici contro l’inceneritore
Rimaniamo ancora al vecchio inceneritore di San Donnino ed entriamo nel merito della questione. E’ necessaria una verifica a posteriori sugli effetti delle emissioni derivanti dell’incenerimento dei rifiuti. Nell’estate del 2005 sulla rivista medica ‘Epidemiologia e Prevenzione’ è stata pubblicata una ricerca sulla mortalità tra il 1981 e il 2001 nel territorio circostante l’inceneritore, a cura del professor Annibale Biggeri, del Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica dell’Università di Firenze. E’ una ricerca dai risultati impressionanti. In quel periodo infatti le patologie legate al linfoma non Hodgkin e ai linfomi del rarissimo sarcoma dei tessuti molli hanno colpito ben 14 persone contro le 7,6 attese statisticamente. Tradotto in percentuali significa, per i linfomi, un aumento di rischio di morte dell’84% rispetto a quelle che sarebbero le aspettative suggerite dagli standard europei. Per quanto riguarda il sarcoma, l’aumento calcolato è del 126%.
Sono dati allarmanti, a cui si aggiunge la denuncia, nell’autunno successivo, di oltre cento medici di famiglia che operano nella Piana e presso l’ospedale di Careggi. Abbiamo raccolto la testimonianza di Gianluca Garetti, medico a Peretola. “La Piana è malata, e con essa i suoi abitanti. Riscontriamo un eccesso di malattie del polmone rispetto ad altre aree della provincia di Firenze. Dalla bronchite cronica, all’asma, al cancro, ai linfomi, ai tumori della vescica, del colon, dei sarcomi dei tessuti molli. Inoltre ci sono recenti acquisizioni scientifiche riguardanti l’estrema pericolosità delle nanopolveri, costituite da particelle inorganiche più piccole di 2,5 micron. Quelle stesse nanopolveri – continua Garetti – che non risultano trattenute dai sistemi di filtraggio dei fumi degli inceneritori, anche se di ultima generazione. Il rischio legato all’emissione di sostanze nocive come diossine, polveri fini, metalli pesanti da parte degli inceneritori è alto come alte sono le ricadute negative per le persone che respirano queste sostanze. Per questo ci appelliamo affinché non venga costruito un nuovo inceneritore. Il problema dei rifiuti si può e si deve risolvere senza nuocere alla salute della popolazione, con sistemi alternativi all’incenerimento. Temiamo per la vita dei nostri pazienti – conclude il medico – perché conosciamo la sofferenza legata a queste malattie, spesso mortali.”
Il problema reale sono dunque le “nanoparticelle”, emesse nel processo di incenerimento anche dai termovalorizzatori tecnologicamente avanzati. Una recente ricerca dell’Università belga di Lovanio dimostra come le polveri di 1 micron, se respirate, arrivano nel sangue in soli 60 secondi e raggiungono il fegato in un’ora. Quando si accumulano nell’organismo diventano estremamente tossiche ed è impossibile espellerle. Non sono né biocompatibili, né biodegradabili.
Chi guadagna dalla gestione degli inceneritori? Il caso ASM di Brescia
L’inceneritore di Brescia è un esempio illustre che i sostenitori dell’incenerimento dei rifiuti amano citare. E’ considerato all’avanguardia tecnologica ed è il più grande d’Europa grazie ad una portata di 800 mila tonnellate. Ecco l’estratto di un documento elaborato dai cittadini e dalle associazioni che si sono organizzati per la sua chiusura: “L’inceneritore ASM di Brescia si è rivelato nei fatti una colossale macchina dello spreco, nemica irriducibile di una corretta gestione dei rifiuti. La quantità di rifiuti prodotti è arrivata a livelli inverosimili: nel 2003 siamo diventati la provincia lombarda con il record negativo di rifiuti prodotti; Brescia è una delle città più ‘immondezzaie’ d’Italia e la raccolta differenziata è al penultimo posto della graduatoria regionale.”
Il documento prosegue denunciando il business economico legato all’inceneritore. “L’impianto è una straordinaria macchina per fare soldi, protetta dalla rendita di posizione del sistema tariffario, per cui i cittadini continuano a pagare lo smaltimento anche se non è più un costo ma un utile. Lo Stato infine finanzia gli inceneritori con una norma ingannevole, che considera i rifiuti energia rinnovabile”. Proprio su questo sostegno statale Greenpeace Italia ha lanciato una petizione popolare per chiedere al Parlamento di non incentivare più gli impianti di incenerimento e promuovere invece nuove norme finalizzate alla produzione pulita di materia e al recupero attraverso il riciclaggio e il compostaggio.
Ma torniamo a Brescia e scopriamo chi guadagna dal ciclo di rifiuti, gestito dal Gruppo ASM, società mista pubblico-privata. Per conoscere i nomi degli azionisti ci siamo rivolti all’inizio di dicembre alla Consob, l’autorità di vigilanza sulla Borsa. Nonostante le quote di maggioranza siano nelle mani dei comuni di Brescia e di Bergamo, tra gli azionisti di rilievo troviamo l’Amber Master Found, con sede nel paradiso fiscale della Cayman, ma soprattutto il faccendiere Emilio Gnutti e la holding Fingruppo, quei ‘furbetti del quartierino’ implicati insieme a Fiorani nella scalata alla Banca AntonVeneta, fermata per gravi irregolarità dalla magistratura nelle scorse settimane.
L’alternativa possibile
Quali sono allora le alternative nella gestione dei rifiuti? Sappiamo che le discariche inquinano e sono spesso in mano alle ecomafie mentre gli inceneritori danneggiano la salute delle persone; questi ultimi determinano inoltre uno ‘spazio economico’ dove è necessario bruciare sempre di più in contrasto con qualsiasi strategia di riduzione dei rifiuti.
L’Unione Europea ci dà una prima risposta, definendo la gerarchia degli strumenti utili. Lo smaltimento per incenerimento e in discarica sono all’ultimo posto, molto dopo la riduzione alla sorgente dei rifiuti, il riutilizzo dei prodotti e il riciclaggio, ovvero i cardini della Strategia Rifiuti Zero.
Il chimico Paul Connet, della St. Lawrence University di New York, è uno dei massimi esperti mondiali di emissioni inquinanti da incenerimento. E’ spesso in Italia invitato da istituzioni ma anche dalla società civile. Secondo il professore americano “è necessario compiere grandi sforzi per conservare le risorse e non per distruggerle. I politici che pensano che gli inceneritori siano la soluzione sono politici pigri, senza inventiva, perché chi chiede di scegliere tra il male dell’incenerimento e quello della discarica pone una domanda sbagliata. Dobbiamo invece costruire una società in grado di produrre meno rifiuti e allo stesso tempo riutilizzare e riciclare ciò che consumiamo, e questo processo può avvenire solo se si persegue una Strategia Rifiuti Zero. Si tratta inoltre di una pratica che attiva processi economici locali virtuosi e consente di aumentare i posti di lavoro, mentre al contrario l’uso degli inceneritori deprime le imprese locali, essendo com’è imperniata su modelli industriali estranei e disinteressati alle comunità del territorio”.
I risultati della Strategia Rifiuti Zero: da Treviso a San Francisco, nessuna fermata a Firenze
La Strategia Rifiuti Zero è già applicata in alcuni ambiti territoriali del nostro Paese. Andiamo a conoscere il Consorzio Priula, che serve 250.000 persone in provincia di Treviso. Dal 2001 ha rimosso tutti i cassonetti e consegnato ad ogni famiglia contenitori per effettuare la raccolta differenziata ‘porta a porta’: bidoncino giallo per la carta; blu per il vetro, la plastica e le lattine; contenitore marrone per la frazione umida; sacco bianco per la frazione verde; contenitore verde per il rifiuto secco non riciclabile. Il radicale passaggio alla raccolta ‘porta a porta’ ha permesso il raggiungimento degli obiettivi previsti dal decreto Ronchi. Si è passati dai 451 chilogrammi prodotti a 317 pro capite e ogni famiglia ha pagato 11 euro in meno di tariffa per aver prodotto meno rifiuti.
Troppo piccola l’esperienza trevigiana? Anche nelle grandi città è possibile spingere, e molto, la raccolta differenziata. New York, Canberra, San Francisco hanno scelto di abbandonare l’incenerimento puntando tutto sulla Strategia Rifiuti Zero. Dal 1985 a oggi dei 300 inceneritori già programmati negli Stati uniti ne sono stati costruiti solo 15, e da otto anni non se ne costruiscono più. Prendiamo San Francisco, 800mila abitanti, più pendolari e turisti, esattamente il doppio di Firenze. Grazie ad una nuova normativa che sostiene il riciclaggio, in soli 4 anni (dal 1999 al 2002) la raccolta differenziata è passata dal 42% al 63%. Nello stesso periodo Firenze è passata dal 17% al 27%, e oggi è ferma al 32%.
Nel 2005 l’amministrazione fiorentina è stata sanzionata dalla Regione Toscana con un’ecotassa di ben 550.000 euro per non aver raggiunto il tetto del 35% imposto dalla legge. Mentre San Francisco si pone il raggiungimento dell’obiettivo del 75% per il 2010, il Comune di Firenze, nonostante un assessorato dedicato ai nuovi stili di vita, ha avviato un progetto per il ‘porta a porta’ che coinvolgerà meno dell’1% degli abitanti (circa 3.600 persone). Nel frattempo, insieme ai Comuni della Piana, ha deciso di costruire un nuovo inceneritore, mentre la Provincia ha deliberato il raddoppio della discarica di Firenzuola.
Gli inceneritori e la democrazia
“Stiamo cercando in tutti i modi di sollecitare gli amministratori pubblici a perseguire il bene della nostra comunità”, afferma a conclusione della nostra inchiesta Valeria Nardi, dei Comitati della Piana fiorentina. “Un inceneritore non è necessario, serve piuttosto una maggiore cultura del bene comune, una visione politica che abbia uno sguardo oltre la legislatura, capace di impegnarsi sino in fondo per un sistema che metta al centro i diritti della persona, ad iniziare dal diritto alla salute. Abbiamo manifestato in molti comuni della Piana, sono sorti comitati un po’ ovunque, se informate le persone sono dalla nostra parte, perché capiscono che in gioco c’è la loro vita, per questo rimaniamo colpiti dalla sordità degli amministratori alle ragioni che stanno alla base della Strategia Rifiuti Zero. E’ come se esistesse un solco profondo tra le ragioni del buon senso e quelle della politica. In questo modo gli inceneritori uccidono anche la democrazia.”


estratto da www.altracitta.org

venerdì 13 gennaio 2012

Inceneritori e finanziamenti, il male di vivere è un prezzo da pagare.


La termovalorizzazione è il più costoso sistema per lo smaltimento dei rifiuti e tutti gli italiani, a loro insaputa, pagano generosi incentivi a suo sostegno
La campagna pubblicitaria a favore dei termovalorizzatori, gestita alla grande da tutti i mezzi di comunicazione di massa, omette volutamente due essenziale informazione: “Quanto ci costa e chi paga?”. In base a documenti dell’Unione Europea, la risposta alla prima domanda è che la termovalorizzazione è il metodo più costoso per smaltire rifiuti. 
In Austria, l’incenerimento di una tonnellata di rifiuti da parte del termovalorizzatore di Vienna, quello che si dice sia nel centro della città e che è stato affidato alle cure estetiche di un fantasioso architetto, costa ben 148 Euro. In Danimarca, termovalorizzare i rifiuti nell’impianto di Copenhagen che si vuol far credere sorga vicino alla “Sirenetta”, costa 97 euro a tonnellata. Bruciare i rifiuti in Germania costa un po’ meno: 88 euro per tonnellata. […]
I minori costi degli inceneritori tedeschi, rispetto a quelli Danesi e Austriaci hanno una spiegazione. La Germania è ricca di vecchie miniere di salgemma dove si possono stoccare in sicurezza le cosiddette ceneri volanti, ossia tutto quello che rimane nei filtri dopo la depurazione dei fumi degli inceneritori, veri e propri rifiuti tossici in quanto contengono, ad alte concentrazioni, metalli pesanti, diossine, furani, idrocarburi policiclici.
E in queste stesse miniere di salgemma finiscono i rifiuti tossici prodotti dall’inceneritore di Vienna e dall’inceneritore di Brescia, mentre i Danesi, per risparmiare, esportano le loro ceneri volanti nella vicina Svezia. E questo traffico di rifiuti tossici costa una bella cifra: per ogni tonnellata di ceneri volanti gli austriaci pagano 363 euro e i tedeschi 255 euro. […]
La beffa italiana degli incentivi all’incenerimento
Anche in Italia termovalorizzare rifiuti è una scelta che si paga a caro prezzo: mediamente, 90 euro a tonnellata. Eppure, nel nostro paese smaltire le ceneri volanti costa molto poco (129 euro a tonnellata). Sarebbe interessante capire in quale modo riusciamo ad avere prezzi così bassi anche perché, come sappiamo, l’Italia non ha miniere di salgemma disponibili per lo stoccaggio di rifiuti pericolosi.
Ma la via italiana alla termovalorizzazione dei rifiuti ha altre singolari particolarità.
Mentre Austria, Danimarca, Belgio tassano la termovalorizzazione dei rifiuti (da 4 a 71 euro a tonnellata) in Italia questa tecnologia è incentivata con generose offerte in danaro, pagate all’elettricità prodotta bruciando spazzatura.
In tutta Europa la vendita di elettricità prodotta bruciando rifiuti avviene a prezzi molto simili a quella dell’elettricità prodotta da fonti convenzionali (olio combustibile, carbone, metano), pari a circa 4 centesimi per chilowattora. 
In Italia, la vendita di elettricità prodotta con un termovalorizzatore frutta al gestore dell’impianto da 9 a 14 centesimi a chilowattora, a seconda che l’incentivo economico si avvalga dei vantaggi previsti dai “certificati verdi” o del cosiddetto CIP6.
In entrambi i casi si tratta di incentivi che sarebbero dovuti andare alle fonti di energia rinnovabile (solare, eolico, biomasse) e che invece vanno a favorire la termovalorizzazione dei rifiuti, dichiarati per legge, tutta italiana, fonte energetica rinnovabile. 
Questo significa che il gestore, per ogni tonnellata di rifiuto termovalorizzato, grazie all’elettricità prodotta (0,5 chilowatore per chilo di rifiuto termovalorizzato), riceve un incentivo che varia da 25 a 50 euro.
Questi soldi escono dai portafogli di tutte le famiglie italiane e questa (le famiglie italiane) è la risposta alla seconda domanda che ci siamo fatti all’inizio di questa chiacchierata: chi paga?
In questo caso, gli incentivi all’incenerimento sono pagati con la bolletta della luce; una vera e propria tassa occulta che si aggiunge alla tassa sui rifiuti che è già cara, ma che è destinata ad aumentare quando, come prevedono tutti i Piani Provinciali, si termovalorizzerà il 65% dei rifiuti prodotti dagli italiani.
Attualmente, circa il 60% dei rifiuti prodotti in Italia è inviato in discarica e il costo medio della discarica (64 euro a tonnellata) è molto più basso dell’incenerimento 
Con l’attuale sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti e con l’attuale produzione pro-capite di rifiuti (circa 550 chili all’anno), il costo a carico delle famiglie per lo smaltimento di un chilo di rifiuti è di circa 12 centesimi. Quando in Italia saranno in funzione tutti i 140 termovalorizzatori programmati, sarà inevitabile un generalizzato forte aumento della tassa sui rifiuti, che si prevede possa essere pari al 40% in più, rispetto all’attuale valore. In questa situazione, il costo pagato dalle famiglie per lo smaltimento di un chilo di rifiuti potrebbe arrivare a circa 17 centesimi.
Ma, se la scelta della termovalorizzazione spinta andrà avanti, il costo reale della termovalorizzazione, sempre a carico delle famiglie italiane, sarà ancora maggiore.
Pochi sanno che ogni volta che compriamo qualche cosa, paghiamo 7 centesimi per ogni chilo di imballaggio con cui è confezionato il nostro acquisto: contenitore in vetro, plastica, metallo, scatola di cartone, involucro in plastica, sacchetto.
Questa tassa va al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) e dovrebbe servire a coprire i costi per la raccolta e il riciclaggio degli stessi imballaggi. 
Ma l’Italia ha i più bassi tassi di riciclaggio in Europa (circa il 20%), destinati a rimanere bassi, grazie alla “furbata” tutta italiana di far diventare, per legge, la termovalorizzazione una forma di riciclo. 
Pertanto, la tassa pagata per il riciclo degli imballaggi non è, e non sarà utilizzata per gli scopi previsti se saranno costruiti tutti i termovalorizzatori che qualcuno vorrebbe (uno per ogni provincia) e questo potrebbe configurarsi come una colossale truffa a danno di tutti gli italiani.
In conclusione, un chilo di imballaggi termovalorizzato, conteggiando la futura tassa rifiuti (17 cent.), la tassa riciclo imballaggi (7 cent.) e il costo dei certificati verdi (9 cent.) costerà alle famiglie italiane circa 33 centesimi (639 lire).

FONTE
L’articolo è tratto dal libro di Federico Valerio Inceneritore? No! Tutto quello che non vi hanno mai detto sugli inceneritori di rifiuti e che molti di voi cominciano a chiedere edito da Andromeda (collana Reprint n.21). È possibile acquistare il libro on-line collegandosi al sito 
www.macrolibrarsi.it.
L’AUTORE
Federico Valerio è direttore del Dipartimento di Chimica Ambientale dell'Istituto Tumori di Genova. Consigliere Nazionale dell'Associazione Italia Nostra, nonché Presidente della Sezione di Genova si occupa da anni di diffondere le problematiche ambientali ed economiche relative all’incenerimento dei rifiuti.

Da sapere:
Nel 2004 la Commissione Europea apre a tal proposito ben due procedure di infrazione contro l’Italia, giudicando inammissibile il finanziamento pubblico per l’incenerimento come fonte di energia rinnovabile.
L’Italia, messa all’angolo, rimedia con una serie di iniziative legislative con le quali formalmente, riesce a chiudere le procedure della Commissione. In sostanza, però, tra proroghe e deroghe ancora oggi decine di impianti di incenerimento usufruiscono degli incentivi CIP 6. Emblematico è il caso del celeberrimo decreto col quale il Governo italiano ha provato a risolvere la crisi dei rifiuti in Campania nel 2008. L’art. 9 della Legge 210/2008 prevede infatti gli incentivi per gli inceneritori che sono entrati in esercizio entro il dicembre 2009 e pone una deroga completa (e assolutamente incompatibile con la legislazione UE) per tutti gli impianti di incenerimento relativi a situazioni di emergenza quale quella campana.
Suggeriamo inoltre: http://www.dirittoalfuturo.it/